IL LIBRO IN PRIMO PIANO Un'originale ricerca
dello storico Alberto Rosselli su una fase
del conflitto anglo-francese che durò sette anni


CANADA 1756:
QUI AVVENNE LA PRIMA
GUERRA MONDIALE



di IGOR PRINCIPE
"Nel 1756 ebbe inizio la prima vera campagna franco-inglese in nord America: il primo conflitto della storia ingaggiato a livello mondiale da due potenze europee. Oltre che sui campi del Vecchio e nuovo Continente, inglesi e francesi si batterono per sette lunghi anni anche in India, in Africa e con le rispettive flotte su quasi tutti gli oceani". Abituati a studiare che il primo conflitto mondiale è deflagrato il 28 giugno 1918, si rimane un po' spaesati di fronte ad un'affermazione così perentoria. Della quale è padre il giornalista Alberto Rosselli, autore di un libro - Il conflitto anglo-francese in Nord America. 1756-1763 (Erga edizioni, Genova, 1999. pp. 222, L. 23.000) - che analizza un singolo quadrato dello scacchiere mondiale su cui si combatte la celebre Guerra dei Sette Anni. Un testo che, pur sostenuto da una tesi da revisionismo allo stato puro, nulla concede a facili strumentalizzazioni o sensazionalisti, ma si limita a raccontare un storia, ricca di dati e di eventi. Meglio: più che una storia, la parentesi principale di una vicenda più ampia: la Guerra dei Sette anni, appunto, che dal 1756 al 1763 oppone Gran Bretagna e Prussia da un lato, Francia e Austria e alleati minori dall'altro. Un conflitto che nasce a causa della rivalità economica che intercorre fra il regno inglese e quello francese nelle rispettive colonie dell'America del Nord e dell'India. Cui si aggiungono le rivendicazioni austriache di Maria Teresa, smaniosa di rientrare in possesso della Slesia che, dal 1740, è occupata da Federico II di Prussia. Lo scacchiere, quindi, è piuttosto ampio. Una prima avvisaglia di ostilità si ha nel 1755, quando la Gran Bretagna, senza dichiarare guerra, si impadronisce di numerosi mercantili francesi nel corso di ordinarie navigazioni. E' il primo atto di un'escalation verso il conflitto che prosegue sui tavoli della diplomazia.
Il 16 gennaio 1756 Federico II di Prussia si impegna, nei confronti degli inglesi, a difendergli da ogni attacco che provenga dalla Francia: è "l'accordo di Westminster". La Francia, da par suo, rinuncia alla tradizionale alleanza con i prussiani e accetta le proposte dell'austriaco Kaunitz: il 1 maggio dello stesso anno sigla a Versailles il trattato di alleanza con l'Austria, che prevede reciproco aiuto in caso di guerra. Alla coalizione franco austriaca si associano in seguito la Russia della zarina Elisabetta, la Polonia di Augusto III e la Svezia. La Guerra, in prevalenza, si svolge in mare. Già nel maggio del '56, un corpo di spedizione francese si impadronisce di Minorca, occupata dagli Inglesi. I quali, per contro, operano il blocco delle coste francesi e riacquistano la supremazia marina, grazie all'energica personalità del loro Primo Ministro, William Pitt. E' opportuno chiedersi, a questo punto, quale sia la situazione in America del Nord. Qui, le colonie inglesi, eccezion fatta per il Massachussets, appaiono disinteressate a cercare un accordo che permetta loro di tenere una linea politica unitaria.
Le colonie francesi
in America del Nord
sono governate da
capi militari inviati
dalla madrepatria
Già le difficili comunicazioni naturali con l'Inghilterra rendono ostico lo scontro con i francesi; per di più, le stesse colonie alimentano l'una nei confronti dell'altra focolai di rivalità. In esse aleggiano i germi di un individualismo primitivo che non aveva mai conosciuto la rigidità di una disciplina imposta dal sovrano o addirittura dai meccanismi gerarchici feudali. Ciò che invece accade nelle colonie francesi. Queste, all'opposto, ignorano concetti quali libertà dalla Chiesa o dallo Stato: le caratterizza invece un'indiscussa lealtà nei confronti del Governo di Parigi.
Al di là delle differenze filosofiche e politiche, ciò che acuisce la frizione tra Francia e Inghilterra in America del Nord è anche la dislocazione territoriale delle colonie. Quelle francesi, come grani di una corona, si distendono lungo una linea di comunicazioni fluviali che va dal fiume San Lorenzo al Mississippi, e fanno da barriera alle migrazioni di quegli inglesi che, come accadrà poi a tanti americani, si spingono verso ovest alla ricerca di nuovi territori vergini, primo embrione di quella che passerà alla storia come "l'epopea della frontiera". Queste colonie sono governate da capi militari direttamente inviati dalla Francia. E, cosa importante, tengono stretti contatti con le tribù degli indigeni, i sauvages, che trattano con riguardo ma che non esitano a impiegare senza scrupoli soprattutto delle operazioni di guerra. Una tra queste è ricordata per la particolare violenza delle operazioni: la battaglia del forte Duquesne. Nel 1753 i francesi cacciano dalla valle dell'Ohio, che chiamano la belle rivière, i commercianti inglesi che la abitano ed vi erigono un forte chiamato Duquesne, in onore del generale che li guida. Due anni dopo, il generale inglese Braddock, inviato dal governo di Newcastle con il compito di riconquistare la piazzaforte perduta, viene massacrato con le sue truppe in un imboscata di francesi e indiani. Formalmente però, s'è detto, la guerra comincia nel 1756. Per l'Inghilterra, il conflitto rappresenta una scommessa. Una grave crisi politica travolge i due tradizionali partiti, i Whigs e i Tories; situazione dalla quale il Paese esce brillantemente grazie all'azione del già citato William Pitt. Il primo ministro, infatti, risolve l'impasse risvegliando nel suo popolo una sorta di orgoglio che valica i confini della nazione per trasformarsi in vera sete di Impero. Che è poi la stessa sete del Pitt, che per realizzare i suoi disegni di espansione - riusciti benissimo: tra il 1758 e il '60 l'Inghilterra amplia notevolmente il suo dominio coloniale - ha necessità di riaffermare la supremazia navale delle flotte di Sua Maestà. La Francia, a riguardo, è un pericoloso ostacolo che va sconfitto soprattutto sul terreno delle colonie, in particolare in Canada. Per garantire migliori e più sicuri collegamenti, gli Inglesi adottano una tecnica speciale: trasportano oltreoceano le truppe di terra e, una volta fatte sbarcare, le proteggono con i cannoni della flotta. Gli eventi principali sono la presa di Louisbourg (1758), chiave d'accesso per il controllo sul territorio del San Lorenzo e la scalata dei Piani di Abraham, importante per poter arrivare alla conquista di della città di Quebec, controllata dall'esercito regio francese. Conquista che è l'evento centrale del libro di Rosselli. Due sono gli indiscussi protagonisti di quella battaglia: il generale inglese Wolfe e il suo collega francese, il Marchese di Montcalm. Personaggio, quest'ultimo, decisamente carismatico. Proveniente da una ricca famiglia della nobiltà provinciale, ama la cultura classica e sogna di diventare un accademico di Francia. Ma i genitori lo costringono alla carriera militare, impegno tradizionale per i maschi della casata. Nella cui carriera eccelle. A soli 9 anni è allievo ufficiale. In seguito, scrive Rosselli, viene "ammirato per la sua intelligenza tattica e il suo coraggio dai superiori ("Il suo innato sprezzo del pericolo lo portava a esporsi sempre laddove il fuoco nemico era più violento") (…). Nel 1755 il Ministro D'Argenson gli comunicò che il Re era intenzionato a nominarlo comandante in capo delle truppe francesi in Nord America con il grado di maggior-generale, cosa che si verificò all'inizio dell'anno seguente (…). Nel corso della campagna nordamericana, nonostante l'esiguità dei mezzi militari e degli uomini messi a sua disposizione, il generale riuscirà ad ad ottenere brillanti successi ai danni di un nemico di molto superiore.
Il monumento al generale
Montcalm eretto a Quebec
Nei primi due anni del suo comando in quel lontano scacchiere, Montcalm batterà più volte gli angloamericani in scontri importanti come quelli di Fort William Henry, Oswego, Fort Carillon, Toconderoga, Beauport e sulle rive del Lago Ontario, non riuscendo però ad evitare la caduta dell'impero francese in Nord America". Caduta che, volendo attribuirne il valore simbolico alla presa di Quebec da parte degli Inglesi, avviene il 13 settembre 1759. Prima di allora, la città presidiata dai Francesi è sottoposta a tre mesi di assedio e bombardamenti. La situazione militare, fino a quel momento, è equilibrata in entrambi gli schieramenti. Un equilibrio, tuttavia, dovuto in prevalenza a fattori negativi. Per quanto riguarda le colonie inglesi, il già citato individualismo politico che le pervade va a investire anche il profilo militare: ognuna di esse respinge infatti autonomamente le scorrerie delle armate francesi e dei drappelli di indiani che periodicamente le investono. L'unico elemento che le accomuna è una decisa diffidenza nei confronti del governo di Londra. Per di più, all'interno della coalizione non mancano i diverbi con i coloni americani. Scrive Rosselli che costoro, "inquadrati nella Milizia, mal sopportavano l'arroganza, il distacco quasi aristocratico e la ferrea disciplina ostentati dagli ufficiali inglesi, senza considerare che gli americani erano disposti a combattere contro i francesi e gli indiani alleati in primo luogo per difendere i loro stessi ideali di libertà, quelli che avevano spinto i predecessori ad attraversare l'Oceano. Pur rimanendo sostanzialmente fedeli alla corona britannica, i coloni ambivano a qualcosa di più". E cioè il riconoscimento da parte di Londra della dignità di cittadini, non più sopportando il ruolo di sudditi. Per ottenere tanto, gli americani sanno di doversi guadagnare sul campo i galloni del prestigio militare nei confronti della Corona. Benjamin Franklin e George Washington, futuri padri della Patria americana, che al tempo combattono accanto alle truppe inglesi, sono tra i primi a voler cercare necessariamente un'intesa con gli alti comandi militari. Intesa di cui gli stessi inglesi, considerata la mancanza di coesione tra le loro colonie, hanno disperatamente bisogno.
Sul versante francese la situazione non è troppo differente. La coesione, qui, manca tra il governo di Versailles di Luigi XV, e i comandi militari dislocati nel nuovo mondo. La Francia preferisce infatti concentrarsi sullo scacchiere europeo, dove la guerra sembra andare bene (gli alleati austriaci, nel giugno '57, hanno sconfitto a Kolin le armate di Federico II di Prussia). Per di più, a Versailles, dallo stesso anno cambiamenti al vertice amministrativo contribuiscono ad aumentare l'indifferenza della corona per le sorti militari nella Nouvelle France. In pochi anni mutano tre ministri (da Machault si passa a Moras, quindi a Massiac e a Berryer), ma non la politica di assottigliamento di risorse civili e militari che condurrà l'impero francese alla rovina. Il generale Montcalm si vede quindi indotto a ritirarsi su posizioni strettamente difensive, per salvare il salvabile: concentra il grosso delle truppe a Nord, lungo i fiumi San Lorenzo e Richelieu, e lascia abbandonate al loro destino le zone coloniali dell'Ohio e della Lousiana. Decisione drammatica, dettata da un forte bisogno di scorte che, qualora fossero state destinate a queste ultime due zone, avrebbe impedito la difesa del territorio canadese. "Montcalm cercava, in buona sostanza - scrive Rosselli -, di aggrapparsi a quella parte dell'impero ch'egli riteneva ancora difendibile fino alla firma di un armistizio o di una pace con l'Inghilterra". Ma nella primavera del 1759, il Primo Ministro Pitt nomina James Wolfe comandante delle forze terrestri destinate ad espugnare Quebec. Le alte sfere militari del governo di Londra non approvano la scelta: Wolfe è giovane (ha solo 32 anni), inesperto e troppo impulsivo. Un ottimo ufficiale, ma non certo un comandante cui affidare un'operazione tanto complessa da comportare il più alto spiegamento di uomini e mezzi mai attuato nel corso dell'intero conflitto. Necessario, dopotutto, per la struttura stessa della città di Quebec, tra le poche città francesi d'oltreoceano dotate di cinta muraria.
"Sin dall'anno della sua fondazione (1606) - racconta l'autore del libro
Nella battaglia
di Quebec gioca
un importante ruolo
la componente
psicologica umana
-, i francesi avevano provveduto in fasi diverse a cingerne l'abitato con bastioni ed opere passive erette soprattutto a protezione della zona antistante il fiume (San Lorenzo, ndr)". Inoltre, sulle prime, la situazione tra i francesi era apparentemente positiva: l'armamento individuale di reparto è buono, malgrado l'insufficienza di munizioni; e il morale è decisamente alto. Vi contribuiscono soprattutto i miliziani canadesi, decisi a difendere la loro unica e vera patria sino all'ultimo colpo di moschetto. I problemi, quindi sembrano essere tutti inglesi: Wolfe, bloccato con la sua flotta davanti alla città di Quebec, non ha ancora elaborato un piano per espugnarla. Inoltre, le milizie dell'altro generale inglese, Amherst, pronte ad andare ad ingrossare le fila dello schieramenti di Wolfe, vengono bloccate da incursioni di milizie scelte franco-canadesi. Nella battaglia di Quebec, tuttavia, gioca un importante ruolo la componente psicologica umana, capace, come vedremo, di far realizzare agli inglesi un grande risultato in una modesta vittoria e ai francesi di subire una tragica sorte in una altrettanto modesta sconfitta. Ma veniamo ai fatti, narrati da Rosselli con il piglio del cronista inviato sul campo. "Verso le 8 del mattino del 13 settembre 1759 - attacca -, i 4.400 soldati inglesi agli ordini del generale James Wolfe e del vice comandante Townshend erano disposti in ordine di combattimento sui Piani di Abraham". Di fronte a loro, un ostacolo solido e ben difeso: la città di Quebec, cinta dalla sua mura. Poca la forza offensiva degli inglesi: solo un paio di cannoni da campagna di piccolo calibro, utili per il tiro ravvicinato. Montcalm, osservata la posizione del nemico, comunica ai suoi ufficiali di voler attaccare subito gli inglesi, per prevenire il loro ulteriore rafforzamento. Ramezay, altro generale francese, suggerisce di attendere l'arrivo di altri 3.000 soldati, guidati dal Bougainville. Il generale conta però sull'arrivo di altre truppe alleate, comandate dal governatore Vaudreuil, non distanti dalla città, e non presta orecchio ai consigli di Ramezay. Il sostegno di Vadreuil si rivela però fondato su un colossale equivoco: un telegramma che annuncia a Montcalm "Nous verrons cela", noi verremo lì, senza però precisare altro riguardo il giorno e l'ora prevista per il congiungimento di truppe. Cosa che fa credere a Montcalm di poter disporre di un credito di forze che si rivelerà poi inesistente. Alle 9 del mattino, il generale sferra l'attacco: "Il generale francese - scrive Rosselli - abbandonò per la prima volta la sua abituale prudenza per buttarsi in un'azione avventata e apparentemente incomprensibile". Alla testa del contingente c'è Montcalm in prima persona.
Wolfe, di fronte a tanto ardire, non ha altra scelta se non quella di rispondere, anche per evitare di trovarsi assediato alle spalle dalle truppe del citato Bougainville. I francesi, nel giro di un'ora, sono sui Piani di Abraham di fronte al nemico. Montcalm, nel frattempo, ordina ad una staffetta di rientrare a Quebec per chiedere a Ramezay 25 cannoni da campagna. Ne arrivano solo 3: Ramezay stesso, forse irritato per la sordità del generale ai suoi precedenti consigli, si giustifica dicendo che il resto del materiale gli è indispensabile per la difesa della piazzaforte. Alle 10 del mattino, 3.500 soldati francesi avanzano su più verso 4.000 inglesi. "Sulla brughiera, già intaccata e rinsecchita dal precoce autunno canadese - scrive Rosselli - si stagliavano i due schieramenti policromi. Quello di Wolfe, formato da più linee di giubbe rosse appartenenti alle truppe regolari, e quello franco-canadese, più vario, composto da linee azzurre, blu e bianche (le divise dei fanti dell'Esercito e della Marina) e da quelle, tinta terra, appartenenti alla milizia canadese. Sparsi tra i reparti della milizia, alcuni manipoli di indiani a torso nudo rammentavano che i due più famosi esercito europei si stavano fronteggiando in una terra lontana e selvaggia". Giunti gli schieramenti a tiro di moschetto, Montcalm, che dall'alto di un cavallo nero dirige i movimenti dei suoi, ordina di attaccare - baionetta in canna e stendardi al vento - le tre
Il generale inglese Wolfe durante
la battaglia di Abraham
linee centrali dello schieramento inglese. E' una bolgia: i fanti francesi, lanciando ardite grida di guerra, corrono brandendo le armi in pugno. I tamburini, fino ad allora precisi nello scandire il ritmo dell'avanzata, vengono travolti dalla furia dell'attacco. Che però si rivela disordinata: i canadesi, buttandosi ventre a terra per evitare il fuoco nemico, rompono la compattezza del fronte, e la manovra non ha esito soddisfacente. Anzi, finisce decisamente male. I fucilieri di Wolfe scaricano sui francesi una grandine di piombo che li costringe alla fuga. Per risultare più efficaci, caricano il loro fucile con due palle di piombo, che fracassano il petto e la testa dei soldati di Montcalm. Un ufficiale inglese, al termine della battaglia, parlerà della "più efficace scarica di moschetti mai eseguita su un campo di battaglia". Gli inglesi avanzano tra urla e spari, e la ritirata francese si trasforma in rotta. Alcuni tra questi soldati, però riescono a scatenare un maligno fuoco di retroguardia, del quale vittima proprio il generale Wolfe. La ferita è mortale: colpito al polso, al petto e al torace, e con un polmone trafitto, il generale muore, a detta dei suoi soldati, senza riprendere conoscenza. Alcuni storici inglesi, fa notare Rosselli, scrivono invece che prima di morire il giovane condottiero pronuncia parole quali "La vittoria sembra ormai sicura. Meno male. Ora, Iddio sia lodato, potrò andarmene in pace".
Ma in quel tragico scontro, è ferito mortalmente anche il generale Montcalm. Centrato a una coscia e al ventre, cade da cavallo e viene soccorso dai suoi ufficiali. Il giorno successivo, un medico tenta inutilmente di curargli la ferita. La morte di Montcalm ha un'eco devastante tra le fila francesi, e ingigantisce quella che per gli inglesi è una grande vittoria tattica, ma non strategica. I francesi devono abbandonare il terreno e perdono più di un terzo degli effettivi, comandante compreso. Quebec, inoltre, è completamente circondata. Il contingente francese, però, può ancora disporre delle armate di Bougainville e di Vaudreuil, che allo scontro non hanno partecipato. A mezzogiorno, le truppe del secondo generale arrivano a nei pressi di Quebec. Vaudreuil cerca di galvanizzarle, di incitarle allo scontro, ma è tutto inutile. L'effetto psicologico della sconfitta e della morte di Montcalm si ripercuote sulle truppe, sconfortandole e privandole di aggressività. Solo 1.000 soldati, per lo più canadesi in un ultimo impeto di orgoglio patrio, si lanciano in un confuso e inutile attacco verso i miliziani inglesi. "Il silenzio era calato sui Piani di Abraham - scrive Rosselli -. La brughiera era disseminata di soldati uccisi e di armi abbandonate. Quella che si sarebbe rivelata la più importante battaglia dell'intero conflitto nordamericano era durata poco più di un'ora. Lo scontro era stato breve ma sanguinoso. I franco canadesi avevano subito perdite severe: 1.200 fra ufficiali e soldati, uccisi o feriti. Gli inglesi avevano invece perso 660 uomini". Circondata dalle armate inglesi e stretta in un assedio che dura ormai da tre mesi, Quebec si arrende. Il 18 settembre 1759, tre compagnie di granatieri inglesi occupano le porte della città e innalzano il vessillo britannico. Dominata dal caso e dalle oscurità della psicologia umana più che dal mestiere delle armi, si conclude così la più importante battaglia dello scacchiere americano nella Guerra dei Sette anni, chiave di volta per le sorti infauste dell'impero francese.

Torna in copertina